Ultima Modifica il 19 Ottobre 2023

A Napoli non c’è Fede senza superstizione. Tra i culti più caratteristici di Napoli vi è quello delle “anime pezzentelle”, un legame antico e misterioso tra Napoli e l’aldilà. La morte a Napoli è una cosa seria e mai definitiva.

Nel Medioevo, oltre l’Inferno e il Paradiso, venne introdotto il Purgatorio, un luogo di remissione dei peccati. Per i Napoletani il purgatorio diventa il serbatoio di spiriti tutelari.



Anime pezzentelle: come nasce il culto delle capuzzelle

Nel corso dei secoli, Napoli ha tenuto in forte considerazione le anime pezzentelle o anime purganti. Pezzentella  deriva dal verbo latino “petere” (chiedere per ottenere). L’anima del purgatorio chiedendo che qualcuno le ascolti e pensi a loro anche solo per un istante per poter ascendere più rapidamente al Paradiso

Il culto delle anime del purgatorio nasce a Napoli alla metà del XVII secolo ed è strettamente collegato con la peste del 1656. Migliaia di morti vengono sepolti in fosse comuni  senza conforto e sostegno dei propri cari. I sopravvissuti iniziano, in un miscuglio di religione e superstizione, a portare conforto alle anime dei defunti che non hanno potuto trovare una degna sepoltura e un adeguato saluto dalle proprie famiglie.

Culto delle anime del purgatorio

La tradizione vuole che il fedele si scelga la capuzzella (espressione napoletana affettuosa per indicare il teschio) da accudire, ponendola su di un fazzoletto bianco, magari aggiungendole attorno un rosario. Se l’anima da segni di risposta, viene ulteriormente curata; a quel punto si mette una corona del rosario e il fazzoletto viene sostituito con un ricamo di merletto.

Quando l’anima è ormai salva, ricambia la benevolenza esaudendo le richieste di coloro che l’hanno aiutata. Se invece non accade niente la capuzzella viene prima “messa in punizione”, cioè girata, e poi riportata all’ossario e abbandonata.

Il fedele si prende cura, dunque, dell’anima adottata in cambio di una grazia. Si tratta di richieste per risolvere piccoli problemi della vita quotidiana o spesso per una vincita al lotto.

Avuta la grazia l’anima è “Familiarizzata”, cioè entra a far parte della famiglia creando il culto delle anime purganti. Un culto ai limiti del pagano e del superstizioso.

I luoghi della tradizione

La prima tappa ideale di questo itinerario alternativo di Napoli è il Cimitero delle Fontanelle. Una cava di tufo nella quale, a partire dalla pestilenza del 1656, vennero ospitati i poveri resti delle vittime dell’epidemia.

Anime del purgatorio

L’itinerario continua con la chiesa di San Pietro ad Aram dall’antica e misteriosa storia. Secondo la tradizione, custodisce i resti mortali di Santa Candida. Il suo teschio è oggetto di venerazione e collocato per questo in una piccola nicchia di fianco all’altare della quarta cappella della chiesa sovrastante.

Altra tappa dell’itinerario, è la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco o più semplicemente Purgatorio ad Arco. Impossibile non notarla passeggiando lungo il decumano inferiore della città. Già all’esterno si presagisce, per la presenza di fittoni con teschi e femori in bronzo, l’atmosfera quasi surreale che si respira all’interno.

Altra chiesa simbolo di questo culto è la chiesa di Santa Luciella ai Librai, a pochi passi della sempre trafficata San Gregorio Armeno, che custodisce il famoso cranio che sembra avere ancora la punta delle orecchie. Ciò ha sempre fatto pensare ai napoletani che sentisse meglio rispetto a tutti gli altri teschi.

L’itinerario ci porta alla Basilica di Santa Maria della Sanità dalla quale si accede a quella che un tempo fu la chiesa cimiteriale della catacomba di San Gaudioso.

Ultima tappa dell’itinerario sono le catacombe di San Gennaro. Qui, nel II secolo d.C., fu ospitato – sepolto e venerato – Sant’Agrippino, primo patrono di Napoli, e dopo due secoli, il martire San Gennaro, del quale furono accolte le spoglie qui traslate da Pozzuoli.