Ultima Modifica il 26 Agosto 2023
Come quasi tutti i palazzi di Napoli anche Palazzo Penne, l’edificio storico rinascimentale che troneggia su Largo Banchi Nuovi, nasconde un inaspettato mistero.
Secondo la leggenda il quattrocentesco “Palazzo del diavolo” è nato dal patto tra l’architetto e il demonio Belzebù.
Palazzo Penne è al centro di un progetto culturale interessante e ambizioso. Lo storico edificio del centro storico di Napoli diventerà presto la Casa dell’architettura e del design. Il progetto della Federico II, inoltre, punta a ripristinare l’ingresso diretto, attraverso la sagrestia, nella vicina chiesa dei Santi Demetrio e Bonifacio.
La leggenda del “Palazzo del diavolo”
La leggenda vuole che il Palazzo Penne, sia stato costruito in una sola notte con l’aiuto del Diavolo. Una storia che ancora una volta mette in luce la creatività che contraddistingue il popolo Napoletano che mai si arresta e mai smette di sorridere.
Il palazzo, costruito nel 1406, apparteneva ad un colto borghese, Antonio Penne, segretario e consigliere di Ladislao Il Magnanimo, re di Napoli. Il suo prestigio a corte era talmente grande, che ottenne l’autorizzazione ad erigere il proprio monumento funebre in Santa Chiara, luogo esclusivo della nobiltà angioina.
Si racconta che il de Penna si era innamorato di una stupenda ragazza, alla quale chiese di sposarlo. La fanciulla gli rispose che avrebbe acconsentito soltanto se de Penna le avesse costruito, in una sola notte, un palazzo quale pegno d’amore e dono di nozze.
Ritenendo che l’impresa fosse a dir poco impossibile, Antonio pensò bene di chiedere aiuto al diavolo. Belzebu in cambio pretese la sua anima firmando addirittura un contratto, c’era una clausola però. Penne avrebbe ceduto la sua anima solo se il demonio avesse contato tutti i chicchi di grano che egli avrebbe sparso nel cortile del palazzo da costruire.
A palazzo costruito, il diavolo cominciò a contare i chicchi , ma Antonio furbescamente aveva mescolato nel grano anche della pece rendendo quasi impossibile al diavolo di contare i chicchi. Ingannato e raggirato, il diavolo sprofondò in un buco apertosi al centro del palazzo. Un pozzo ora chiuso, ma ancora visibile a chi visita l’antico e meraviglioso palazzo rinascimentale partenopeo.
A vedere lo stato in cui si trova oggi il Palazzo Penne c’è da pensare che il diavolo, che dorme dannato nelle profondità del pozzo del cortile, abbia maledetto il palazzo. Sarà forse per questo che non si riesce a restaurarlo?
La storia di Palazzo Penne
Il Palazzo Penne fu commissionato da Antonio Penne, consigliere del re Ladislao di Durazzo (1377-1414), ed eretto su disegno di Antonio Baboccio da Piperno durante il primo decennio del Quattrocento.
Nei secoli il Palazzo Penne ha ospitato principi e uomini illustri. Nel 1683 divenne sede clericale dell’ordine dei Somaschi; mentre nel corso del XVIII secolo fu residenza del vulcanologoTeodoro Monticelli che vi impiantò la sua collezione privata.
Dopo vari passaggi di proprietà Palazzo Penne, oggi in cattive condizioni di conservazione, potrebbe finalmente tornare a nuovi fasti, dopo anni di abbandono. Lo stabile, di proprietà della Regione, diventerà la ” Casa dell’architettura e del design”.
Il palazzo, articolato su tre livelli, fonde in sé elementi architettonici catalani e toscani. Al di la dell’incuria in cui il palazzo versa è interessante ammirare la sontuosa facciata. Sul bugnato che ricopre la facciata è raffigurato il giglio angioino; mentre sopra l’arco che racchiude il portone d’ingresso vi sono delle penne, simbolo della casata.
Il pregevole portale d’ingresso, posto sulla facciata principale del palazzo, rappresenta un arco depresso, tipico del periodo durazzesco e molto diffuso in tutta la città.
Sul profilo curvo dell’arco del portale vi è un’incisione in latino di Marziale che recita “Tu che giri la testa, o invidioso, e non guardi volentieri questo (palazzo), possa di tutti essere invidioso, nessuno lo è di te”.
Palazzo Penne, piazzetta Teodoro Monticelli, a pochi passi dal Complesso Monumentale di S. Chiara e da quello di S. Maria la Nova.