Ultima Modifica il 12 Gennaio 2025
Da secoli, il 17 gennaio, i napoletani accendono il Fucarazzo ‘e Sant’Antuono per rendere omaggio al santo del Fuoco e protettore degli animali.
O Cippo ‘e Sant’Antuono è una tradizione di origine pagana che vede molti cittadini scongiurare la cattiva sorte attraverso l’accensione di piccoli falò (Fucarazzo ‘e Sant’Antuono).
Con la celebrazione dei Fuochi di Sant’Antonio, il 17 gennaio, si dà il via anche al Carnevale, con la prima uscita delle maschere.
Napoli e il rito di O Cippo ‘e Sant’Antuono
Quella “d’o cippo ‘e Sant’Antuono” è una festività è molto sentita nella città di Napoli, in particolare nel borgo di Sant’Antonio Abate o, per dirla in napoletano, O buvero.
Il borgo napoletano, fondato nel 1363 su volere di Giovanna I d’Angiò, deve il suo nome all’abbazia benedettina ivi eretta per ospitare i monaci ospedalieri del Tau. I frati fondarono un “Hospitalem” specializzato soprattutto nella cura dell’herpes zoster (detto comunemente appunto “fuoco di Sant’Antonio”).
La Festa di Sant’Antonio Abate è tradizionalmente accompagnata dal rito del fucarazzo. Al suono dell’invocazione “Sant’Antuono Sant’Antuono pigliate ‘o viecchio e dance ‘o nuovo!” molti napoletani bruciano ancora oggi vecchie suppellettili di legno e non più necessario e alberi di Natale.
Sulla cima della pira viene collocato un fantoccio seduto su una sedia (a volte imbottito di petardi), che impersona l’anno vecchio che se ne va.
In Campania c’è La Notte dei Falò di Nusco! Dal 17 al 19 gennaio, la Pro Loco del borgo irpino di Nusco ci invita, anno dopo anno, a vivere un’esperienza unica, sempre diversa e sorprendente.
Benedizione degli Animali, antico rito nel segno di Sant’Antonio Abate
Il 17 gennaio di ogni anno si rinnova l’antico rito della benedizione degli animali. La cerimonia, dedicata ai propri amici a quattro zampe, è una tradizione che affonda le radici nella devozione a Sant’Antonio Abate, protettore degli animali.
L’usanza di benedire gli animali, in particolare i maiali, è legata all’ ordine degli Ospedalieri Antoniani che curavano le malattie della pelle attraverso unguenti ottenuti dal grasso di maiale
Si narra che nella notte di Sant’Antonio Abate, quando un velo sottile separa il mondo visibile da quello invisibile, gli animali, in comunione con forze arcane, acquisiscono il dono della parola.
Sant’Antonio Abate e la leggenda del fuoco
La storia ci narra che Sant’Antonio Abate, spogliatosi di tutti i beni materiali, si ritirò nel deserto della Tebaide dove iniziò a condurre una vita da eremita.
Nella sua lunghissima vita, morì a ben 105 anni, svolse un importante ruolo di guida spirituale ed evangelizzatore, nonché di taumaturgo (cioè capace di compiere miracoli). L’appellativo di abate gli deriva dall’essere considerato il patriarca del monachesimo orientale.
La fama popolare lo innalzò a protettore degli animali domestici, dei contadini, degli allevatori e dei macellai. Questo perché dal maiale gli antoniani (i seguaci di Antonio) ricavavano il grasso per curare l’herpes zoster comunemente chiamato “fuoco di sant’Antonio”.
E’ spesso raffigurato con un maialino tra le braccia e con una mano appoggiata sopra un bastone con la terminazione a T (“tau”), l’antico simbolo egizio d’immortalità. A lui è legata la tradizione del fuoco segno di purificazione dai malanni e dai demoni.
Una leggenda narra che sulla terra gli uomini avevano freddo perché non conoscevano il fuoco. Sant’ Antonio Abbate, in compagnia di un maialino, si recò all’inferno. Mentre l’animale creava confusione tra i diavoli, il Santo con un bastone riuscì a rubare una scintilla di fuoco, che portò sulla terra. Gli uomini conobbero così il fuoco e non ebbero più freddo. Antiuomo divenne cosi il custode del fuoco.
Il santo è rappresentato, divenuto nel Medioevo simbolo distintivo dell’ordine degli ospitalieri di sant’Antonio. A volte ha in mano un campanello per allontanare il maligno ed è accompagnato da un maiale selvatico.