Ultima Modifica il 11 Dicembre 2020

Mannaggia ‘a culonna o Mannagg’o sang da culonna, chi non ha sentito questa espressione napoletana di rabbia?

La sua storia si perde nei meandri del passato ed è legata a Castel Capuano, il più antico castello di Napoli dopo il Castel dell’Ovo, fondato nella seconda metà del XII secolo come reggia dei Normanni ed Angoini.



è

Con l’annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna e la sua costituzione in Vicereame (1503), il Castello fu destinato per la prima volta alla funzione di palazzo di giustizia.

I castelli di Napoli - Castel Capuano Napoli

L’umiliazione della Colonna infame

La storia ci tramanda che nel largo davanti alla porta principale del Palazzo della Vicaria, sopra una base quadrata, si trovava una colonna bianca di marmo (la “colonna infame della vicaria”) che divenne l’incubo di ogni debitore della città.

Gli insolventi erano infatti costretti a salire sulla colonna, calarsi le brache e declamare dinanzi al popolo le proprie insolvenze attraverso la formula latina “cedo bonis” (rinuncio ai miei beni).

Salire sulla “Colonna infame della Vicaria” era una delle più umilianti e infamanti condanne che si potevano subire, perchè capace di compromettere il futuro del debitore; in queste manifestazioni pubbliche il debitore era vittima dello scherno del popolo che non disdegnava infierire fisicamente sul malcapitato di turno (‘o sango d’ ‘a culonna).

Castel Capuano in un dipinto del XVII secolo              Castel Capuano in un dipinto del XVII secolo.

Un altro detto napoletano recita “Cu ‘na mana annanze e ‘n’ata arreto, ha mmustato ‘o cul’ ‘a culonna“(con una mano avanti e l’atra dietro, ha mostrato il culo alla colonna.

La colonna fu rimossa soltanto nel 1856 da Carlo III di Borbone, oggi è conservata al Museo della Certosa di San Martino (nell’androne delle Carrozze), questo non bastò a ridurre l’atrocità del popolo sempre alla ricerca del macabro. La base della colonna rimasta, venne per alcuni decenni ancora usata come ceppo mortuario per mostrare i corpi dei condannati.